venerdì 13 febbraio 2015

[NarrAzioni] - Qahera: le supereroine portano lo hijab

Amiira è piena di pensieri, crede di essere pazza. Attorno a lei, da un tempo troppo lungo per essere ricordato, ci sono centinaia di voci, volti e mani che la tormentano. La scusa è dannatamente inattaccabile ed è sempre la stessa: la vogliono salvare.
La vuole salvare il padre, che le promette purezza e gioia in cambio di gioia e accurata purezza. 
La vogliono salvare gli uomini attorno a lei, che sicuramente prima o poi le prometteranno sicurezza e gioia in cambio di silenzio e acquiescenza.
Come se non bastasse, poi, la vogliono salvare anche alcune donne, che le dicono che il hijab che porta in testa le fa male. Che la rende debole. 
Amiira non si sente debole, è solo stanca di tutta questa voglia che hanno gli altri di salvarla. Così, con una determinazione che per forza di cose appartiene alle ragazze intelligenti, decide di salvarsi da sola.

Ogni supereroe che si rispetti ha un passato colmo di significati. E questi molto spesso non sono solo intimi, ma anche e soprattutto sociali; Amiira non è una persona, è una linea improvvisata. Una linea tanto semplice e sintetica da poter rappresentare centinaia di migliaia di diciannovenni. Ed è proprio da un “tratteggio” simile a questo che in Egitto, tra le mani di un’artista e lo schermo di un tablet, è nato quasi per caso un fumetto emblematico e rivoluzionario: Qahera.



Qahera in arabo significa “conquistatrice”,
ma se vi si aggiunge “al” diventa “Al Qaera”: Cairo, la capitale dell’Egitto. Sotto a questo nome, su una collina lontana dalla città, è seduta un’agile giovane dal volto velato e con la sciabola tra le mani. La super-girl ha un udito molto fine: le sue orecchie provano dolore ogni volta che qualcuno nel mondo se ne esce con affermazioni misogine, islamofobe o femeniste. E questa debolezza, inevitabilmente, si trasforma in un potere: la giovane, con la – metaforica - forza della sua sciabola,
appende al filo del bucato i signori che predicano l’acquiescenza delle mogli in nome di Dio, lega e lascia sospese in un dirupo alcune Femen che protestano per “salvarla dal velo” e attacca alle gambe tutti quegli uomini che ammiccano e provano ad abusare di lei e delle sue coetanee – anche quelle senza il hijab -. 
La giovane combattente, che nasce dalla “sciabola” dell’artista egiziana diciannovenne Deena Mohamed, porta con sé una forza comunicativa schietta ed estremamente giovane, capace di traversare in poche immagini manciate di questioni a cui spesso solo l’azione – di lotta o artistica che sia - può dare risposta.

Il fumetto (che comprende al momento sei episodi) è pubblicato interamente on line, sul sito web creato dall’autrice dopo aver riscosso su Tumblr quello che lei stessa definisce un “successo decisamente inaspettato”. 
“Qahera – spiega Deena - è stato creato per combattere la società patriarcale e misogina, con la quale io ho una certa familiarità. La logica islamofobica si traduce spesso nel criticare una intera società, e il risultato è che poi altri sfruttano questa scusa al fine di avvalorare la tesi secondo cui tu sei ‘oppressa’ e ‘sottomessa’ e ‘vittima della tua cultura’. Per questo Qahera combatte sia la misoginia che l’islamofobia.”

Quel che mi ha colpito delle narrazioni di questa giovane studentessa d’arte sta nella loro assoluta spontaneità: quello di Deena (o Qahera che sia) è il grido identitario di una gioventù che vuole determinare la propria strada senza dover necessariamente convertirne i costumi.
“Qahera – continua Deena sul sito - è un personaggio egiziano. La maggioranza delle donne musulmane egiziane indossano un hijab (hegab). Nonostante ciò, sono poco rappresentate anche all’interno del loro stesso ambito mediatico e nella maggior parte degli altri media sono svilite, mal rappresentate e deumanizzate. Volevo contribuire con una rappresentazione di una donna musulmana che fosse visibilmente non deumanizzante.”

Un tema più che mai attuale intrapreso dalla disegnatrice, poi, è quello del Sexual Harrassement, l’abuso sessuale. In Egitto, il 99% delle donne dichiara di esser stata vittima di abusi almeno una volta nella vita e di fronte al fenomeno, a partire soprattutto dalle mobilitazioni del 2011, sono nati in Egitto una serie di movimenti di artisti che tra graffiti, musica, arte e poesia hanno dato vita ad una grande ondata di
comunicazione politica; Deena ne ha preso parte dando il suo contributo al documentario interattivo “Shout Art Loud”.


Qahera è diretta, le storie in cui è coinvolta sono brevi e la sua identità “globale” è corroborata dalla possibilità che offre ai lettori di fruire del fumetto in due lingue, inglese e arabo. Una studentessa diciannovenne, animata dal bisogno di rispondere a tutte quelle minacce che continuano a volerla “salvare” e di emanciparsi da loro, ha dato vita ad un prodotto culturale tanto inclusivo da diventare pop, come il “Superman Arabo” di Joumana Haddad, quello a cui la scrittrice libanese chiede disperatamente di togliersi la “mantellina rossa” (singolare metafora per la virilità) imposta a forza  dalla cultura monoteista, sessista e contraddittoria in cui a suo avviso è immerso il mondo arabo. Ma la differenza tra Deena e Joumana è netta, e – oltre che nella nazionalità  – si trova in un elemento determinante: la creatrice di Qahera non è atea. Non chiede che il nemico si svesta dell’armatura, ma decide di indossarne una anche lei per correre a combatterlo.
Con la forza delle immagini, la sciabola di Deena scardina tutto ciò che non lascia fiato alla sua identità: uomini, donne, limiti e stereotipi.








 Giulia Capozzi
@giulscapozzi

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